Lettera di resistenza e ammonimento per ogni donna oppressa

Eppure un giorno ti svegli e decidi che non ce la fai più a sentirti insulsa.

Pubblicato da Silvia Barbato il 4 gennaio 2024

“Non sono mai riuscita a nessuna età, ad accontentarmi di rimanere accanto al fuoco e semplicemente guardare quello che accadeva intorno Il mio posto è nel mondo.”

- Eleanor Roosevel

Eppure un giorno ti svegli e decidi che non ce la fai più a sentirti insulsa. 

Un giorno ti svegli ed osservi un’immagine trasfigurata allo specchio, un volto che non appartiene all’adulta che speravi di essere. Eppure continui a muoverti nel tuo corpo pur sapendo di non riuscire più a distinguere la tua individualità’. Chi sono io? E ti lavi la faccia. Cosa voglio essere? E ti vesti. Ho tradito me stessa? E bevi il tuo caffè in silenzio. Un giorno ti guardi allo specchio e vedi il volto di lui, la proiezione dei suoi desideri, il suo colore preferito, i vestiti che lui vuole vederti addosso. Sei sola, e anche in quel momento nella tua testa c’è un interrogativo martellante: cosa potrebbe piacergli? Cosa piace a te non te lo ricordi più. Ogni scelta, da cosa mangerai a dove andrai quel giorno è appesa al filo sottilissimo delle sue aspettative e tu sei focalizzata sul rispettarle, non perché ti vada, ma perché è l’unica opzione percorribile, altrimenti sei “un’egoista”, altrimenti lui si arrabbierà e tu non riusciresti a tollerare l’ennesima figura maschile intossicata dalla rabbia. Per quello bastava tuo padre. Perché il patriarcato funziona così, avvelena intere generazioni inconsapevoli e poi viene fuori all’improvviso, non appena qualcuno rompe il suo incasellamento sistemico dei ruoli. Intanto decidi di ingaggiare l’ennesima battaglia persa in partenza per incontrare le esigenze di lui, i suoi desideri. Comunque andrà ne uscirai sconfitta: non puoi tener testa all’idealizzazione malata che cerca di ricreare in ogni donna della sua vita. Sei il santino della madre per lui, l’oracolo della femmina a cui rivolgersi per le urgenze del suo io. E allora arranchi, corri, corri, perdi il filo di Arianna in un labirinto emotivo dal quale non vuoi neanche salvarti. Non sai come. E non puoi. Non puoi rinunciare a prenderti cura di lui, ma nessuno si prende cura di te. Non vuoi rinunciare ad amare, ma hai abbandonato a poco a poco te stessa. Ti arrampichi con tutta la forza che hai nelle mani su quei “Ti amo” scongiurati. 

Ti amo, ma se mi fai arrabbiare ti lascio da sola per strada.

Ti amo, ma la tua libertà di azione e di pensiero mi sta facendo del male.

Ti amo, ma se non fai le cose secondo il mio criterio sei un’ingestita.

Ti amo, ma non te lo dico mai perché aspetto sia tu a farlo, perché non riesco a contattare le mie emozioni e non voglio concederti più nulla, nemmeno la mia vulnerabilità. 

Ti amo, ma ti cerco solo se ho voglia, perché contano più i miei istinti del tuo stato emotivo.

Ti amo, ma i tuoi successi mi danno fastidio perché mi ricordano i miei fallimenti. 

Eppure, un giorno ti alzi in piedi e ti rendi conto di quanto ti sei rimpicciolita e --cercandoti, cercandoti-ti rendi conto che la voce che hai sempre avuto dentro preme per uscir fuori. E batte nelle costole e in gola. E grida BASTA! E allora ti rendi conto, piccola anima su questo mondo, che non sei mai stata un mostro e non sei mai stata sola. E ti scuoti quell’oppressione da dosso, perché non è mai stata il tuo vestito. Fuggi dal controllo e dalle costrizioni e finalmente diventi te stessa: il terrore di lui e di quelli come lui. Un monstrum, una creatura che etimologicamente “avvisa”, si mostra squame e pelle e ammonisce: “Guai a voi a sopprimere un’anima. La mia voce non la spegne più nessuno”


Ci sono amori che annullano la persona. In questa società annebbiata dalle logiche patriarcali è considerato ancora normale che una donna faccia un passo indietro per lasciar “spazio” all’espressione individuale maschile. In questo modo, prima ancora della morte fisica, decretiamo la morte di una soggettività, la rinuncia ai sogni delle nostre ragazze, delle figlie e delle sorelle. Troppo spesso associamo alle donne le funzioni “di cura” nelle relazioni e nella famiglia, schiacciandole sotto il peso del dover accudire dell’altro, ma restando-paradossalmente-sole. Le dinamiche di controllo, di sottomissione, di silenzio e umiliazione creano condizionamenti psicologici e neurochimici che rendono ardua la lotta contro la prigione relazionale-patriarcale. Interrompete questi schemi, perché alla base della violenza fisica, c'è lo spettro subdolo della violenza psicologica. Cercate aiuto nei centri antiviolenza, parlatene con un’amica o con una professionista. Rompete il cerchio affinché nessuna figlia, nessuna madre, sorella, donna, possa sentirsi incatenata. Contro la violenza patriarcale spezzate le prigioni della mente.